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ISEE IN SCADENZA

Fonte www.superabile.itIl 15 gennaio 2018 è terminata la validità delle Dichiarazioni sostitutive uniche (Dsu) presentate nell’anno 2017. Pertanto, per la richiesta di nuove prestazioni sociali agevolate o in alcuni casi per continuare a beneficiare delle stesse è necessario presentare una nuova Dsu per ottenere il rilascio del nuovo Isee per l’anno 2018.

La Dsu è un documento che contiene i dati anagrafici, reddituali e patrimoniali di un nucleo familiare, e può essere presentata a uno dei seguenti soggetti: all’ente che eroga la prestazione sociale agevolata, al comune, a un Centro di assistenza fiscale, online all’Inps.

A seguito dell’aggiornamento della Dsu, il cittadino può richiedere il rilascio del nuovo Isee.

L’indicatore della situazione economica equivalente (Isee) consente agli utenti di accedere, a condizioni agevolate, alle prestazioni sociali o ai servizi di pubblica utilità.

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CODICE TERZO SETTORE, ECCO COME SARÀ REGOLATO IL PERIODO TRANSITORIO

Fonte www.vita.itArrivano le prime indicazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sull’applicazione nel periodo transitorio delle nuove disposizioni del Codice del Terzo settore (CTS) rivolte in particolare alle Regioni che saranno chiamate a rendere operativo il Registro Unico Nazionale del Terzo settore (RUN).

Il documento è disponibile sul sito internet del Ministero e fornisce alcuni preliminari chiarimenti riferiti alle organizzazioni di volontariato (Odv) e alle associazioni di promozione sociale (Aps) per i quali sono già operativi i registri nazionali e/o locali.

Le Onlus, infatti, dovranno attendere le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate cui spetta la gestione della rispettiva anagrafe. Il Ministero ricorda prima di tutto che fino all’entrata in funzione del RUN, l’iscrizione agli attuali registri continuerà ad essere regolata dalle vigenti disposizioni normative. Questo significa che in caso di costituzione di un nuovo ente, ai fini dell’iscrizione nel registro APS e ODV nel periodo transitorio, si dovranno seguire le regole vigenti prima dell’entrata in vigore del codice (agosto 2017).

Pur in mancanza di indicazioni operative da parte dell’Agenzia delle entrate questo stesso criterio varrà, molto verosimilmente, anche per tutti quegli enti che vorranno procedere all’iscrizione presso l’anagrafe delle ONLUS.

Per verificare la sussistenza dei requisiti utili per l’iscrizione nel nuovo registro le Regioni in questa fase dovranno seguire due diverse impostazioni tenendo conto della data di costituzione degli enti.

◾Quelli già costituiti al 3 agosto 2017 (data di entrata in vigore del Cts) avranno a disposizione 18 mesi di tempo per adeguare i propri statuti alla nuova disciplina. Pertanto, in questo periodo, la domanda di iscrizione all’istituendo RUN non potrà essere rigettata in caso di difformità con le norme del Codice, almeno fino alla fine di febbraio del 2019.

◾I nuovi enti, invece, dovranno adeguarsi da subito alle norme del codice ed in particolare alle disposizioni applicabili in via diretta ed immediata, a prescindere dalla operatività del Registro. Ad esempio in mancanza di quest’ultimo non sarà richiesto il rispetto degli obblighi di pubblicazione delle informazioni riguardanti l’ente (si pensi alla denominazione dell’ente, forma giuridica, sede legale, oggetto dell’attività di interesse generale etc..) o del deposito dei bilanci e dei rendiconti, inclusi quelli riguardanti le raccolte fondi. Inoltre non potrà essere utilizzata la procedura semplificata per l’acquisizione della personalità giuridica dal momento che è collegata all’iscrizione nel Registro ( art. 22 CTS).

Alcune disposizioni invece entrano in vigore immediatamente e richiedono specifici requisiti che dovranno essere previsti obbligatoriamente fin dal momento della costituzione dell’ente, come il numero minimo di soci (almeno sette) e la forma giuridica di associazione riconosciuta o non riconosciuta, richiesta espressamente dal Codice per l’iscrizione nella sezione ODV e APS del Registro Unico (artt. 32 e 35).

Dal momento che si tratta di elementi immodificabili in caso di inosservanza di queste disposizioni gli enti non potranno sanare la violazione, con impossibilità di accedere al Registro.

Per tutti gli ETS scatta l’obbligo del bilancio di esercizio, che andrà redatto in forma ordinaria o semplificata a seconda delle dimensioni, indipendentemente dal deposito presso il RUN. Va detto che in realtà la modulistica necessaria non è ancora pronta (servirà un intervento del Ministero del lavoro), ma, come chiarito nel documento, questa mancanza “non esonera gli enti da tale adempimento”.

Quest’ultimo cambia a seconda dell’ammontare complessivo delle entrate dell’ente. Se al di sotto dei 220mila euro sarà sufficiente presentare un prospetto semplificato sotto forma di rendiconto finanziario per cassa. Superato questo limite invece è richiesto un vero e proprio bilancio di esercizio formato dallo stato patrimoniale, dal rendiconto finanziario e dalla relazione di missione con cui l’ente dovrà illustrare l’andamento economico e finanziario.

Il 1° gennaio 2019 sarà invece la data a partire dalla quale gli enti con entrate superiori a 100mila euro dovranno pubblicare sul proprio sito internet l’ammontare dei corrispettivi eventualmente attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti e agli associati. Resta invece ancora facoltativo l’obbligo di adozione del bilancio sociale per gli enti di maggiori dimensioni (con entrate superiori ad un milione di euro) che, in attesa delle linee guida previste dall’art. 14 del Cts manca ancora delle indicazioni necessarie.

Da ultimo, bisognerà prestare attenzione anche alla corretta denominazione gli enti. Odv e Aps potranno ancora utilizzare i vecchi acronimi per l’iscrizione nei rispettivi registri. Per qualificarsi come Ets, invece, dovrà attendersi l’attivazione del Registro Unico nazionale, in un’ottica di trasparenza specie nei rapporti con i terzi legati, in particolare, ai maggiori vantaggi per chi dona a favore degli Enti del terzo settore.

Articolo di  Gabriele Sepio, consulente del Governo per la Riforma del Terzo settore

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Come rendere una scuola realmente per tutti

Fonte www.superando.it Porte sensoriali, pareti da usare come una plancia di gioco, finestre per tutti, armadietti che svelano in rilevo il loro contenuto, pavimenti percettivi: sono le soluzioni flessibili e personalizzabili in base alle diverse esigenze, che compongono il kit per il restyling inclusivo nella scuola dell’infanzia, progettato dal gruppo di lavoro di Architutti e aggiudicatosi un recente concorso di idee. Si tratta, per altro, di soluzioni adattabili anche ad altri ordini scolastici, sempre partendo dal concetto che «la progettazione per tutti fa bene a tutti e non solo a chi ha esigenze speciali»

«La progettazione inclusiva oggi è solo una normativa, il nostro approccio è diverso: la progettazione per tutti fa bene a tutti e non solo a chi ha esigenze speciali e si può fare fin dall’inizio. In questo caso, per altro, abbiamo pensato a soluzioni che si adattassero al patrimonio scolastico esistente, soluzioni modulabili, personalizzabili e flessibili in base alle diverse esigenze che si possono incontrare a scuola».
Lo ha dichiarato all’agenzia «Redattore Sociale» Francesca Bulletti, componente insieme ad altre donne del team di Architutti, gruppo di lavoro che si ispira ai princìpi della progettazione universale (Universal Design) e che con il progetto denominato La scuola per tutti con il kit per il restyling inclusivo, si è recentemente aggiudicato il Concorso di Idee Includi…AMO, organizzato dalla Direzione Didattica Paolo Vetri di Ragusa, sede del Centro Territoriale e capofila della Rete Provinciale per l’Inclusione, insieme all’Ordine degli Architetti di Ragusa e alla Sou-Scuola di architettura per bambini del Farm Cultural Park, il parco turistico culturale di Favara (Agrigento).

La giuria di Includi…AMO ha scelto dunque il progetto firmato da Francesca Bulletti e Chiara Dallaserra, perché «si distingue per la sua completezza e semplicità espressiva e rappresentativa e si configura come un vero e proprio paesaggio dell’apprendimento, caratterizzato da elementi architettonici a diversa scala che soddisfano le esigenze di adattabilità e replicabilità in diversi ordini di scuole».
I contenuti sono ben sintetizzati da «Redattore Sociale»: «Porte sensoriali per consentire anche ai bambini con difficoltà visive di capire in quale aula stanno entrando. Pareti da usare grazie a un pannello forato in legno utilizzabile come una plancia di gioco. Finestre per tutti con una cornice che abbassa il davanzale rendendolo accessibile anche ai bimbi in sedia a ruote. Armadietti con maniglie intercambiabili su cui sono riportati in rilievo gli oggetti che si trovano all’interno. Pavimenti percettivi costituiti da un sistema modulare che permette di allestire l’aula a seconda delle esigenze e percorribile anche dalle sedie a ruote. Sono queste le soluzioni contenute nel kit per il restyling inclusivo nella scuola dell’infanzia progettato da Architutti che, come anche indicato nella motivazione della giuria di Includi…AMO, è adattabile anche in altri ordini scolastici».

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Il Diario di Anna Frank tradotto in simboli per i lettori con disabilità

Fonte www.superabile.it In vista della Giornata della Memoria, il libro verrà presentato a Milano il 25 gennaio. Con questa traduzione anche gli adulti con disabilità cognitive potranno leggere una delle più grandi testimonianze sull’Olocausto.

“Ti raccontiamo alcune pagine di Anna Frank, una ragazzina ebrea di 13 anni, figlia di un ricco banchiere tedesco”. Inizia così il nuovo libro della casa editrice La Meridiana, che ha tradotto in simboli il Diario di Anna Frank. Una traduzione che permetterà anche agli adulti con disabilità cognitive di leggere una delle più grandi testimonianze sull’Olocausto. Nato sotto la supervisione del Centro Studi INBook, potrà essere portato nelle scuole e nelle comunità educative, nelle biblioteche e nelle librerie. In questo modo la lettura del “Diario di Anna Frank” sarà finalmente accessibile anche a quel pubblico di giovani adulti che si approcciano con difficoltà ai testi tradizionali. Finora sono stati tradotti in simboli soprattutto libri per bambini. Con il Diario di Anna Frank invece si può raggiungere un pubblico adulto. Il “Diario di Anna Frank” tradotto in simboli verrà presentato il 25 gennaio a Milano, presso la Casa della Memoria (via Federico Confalonieri 14) alle ore 18.

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Rimozione dall’incarico dell’Assessore Roccisano

Comunicato stampa a cura del Portavoce del Forum Calabria Gianni Pensabene

A seguito della rimozione dell’Assessore Roccisano, il Forum del Terzo Settore intende rappresentare la propria preoccupazione per la delicatezza di questo momento relativo al futuro della tanto attesa riforma del welfare calabrese che, finalmente, dopo un’attesa di oltre 14 anni dalla L.R.23/03, ha visto la luce al termine di un percorso partecipato durato oltre un anno e fortemente voluto dallo stesso Assessore.

Doveroso in tal senso il ringraziamento alla Roccisano per la sensibilità e l’attenzione che ha sempre dimostrato per il nostro mondo e per le persone più deboli e svantaggiate della nostra terra, e per il lavoro che la stessa ha portato avanti insieme alle parti sociali arrivando a colmare una lacuna normativa che era ormai divenuta insostenibile.

Un percorso che ora deve essere proseguito, e che proprio in questo 2018 dovrà vedere la sua prima applicazione.

Da qui origina la preoccupazione del Forum, a seguito della rimozione dell’Assessore Roccisano, in un momento così delicato e complesso.

Per questo il Forum del Terzo settore, pur non entrando nel merito di scelte che attengono esclusivamente al governo regionale, chiede al Presidente Oliverio di procedere nel più breve tempo possibile all’individuazione della persona che dovrà ricoprire questo delicato ruolo, uscendo dalle logiche meramente partitiche, e avendo cura di scegliere qualcuno che sia immediatamente pronto e competente. La nostra regione infatti non si può permettere, in questo momento, di perdere ulteriore tempo per consentire l’ambientamento di un nuovo assessore estraneo alla materia, e che metterebbe a rischio tutto il processo di riforma sin qui faticosamente costruito.

Calabria 09/01/2018

 

 

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NEL 2018 LA DISABILITY CARD DOVRÀ PASSARE DA PROGETTO A REALTÀ

Fonte www.superando.it – Nel corso di un evento interamente sottotitolato, moderato da Pietro Barbieri, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stato presentato il 22 dicembre scorso a Roma, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio, il progetto europeo EU Disability Card, alla presenza di numerosi rappresentanti delle Associazioni aderenti a FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap*) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), tra i quali Antonio e Valeria Cotura per la FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), Salvatore Nocera per la stessa FISH, Roberto Romeo per l’ANGLAT (Associazione Nazionale Guida Legislazione Andicappati Trasporti), oltre ad esponenti dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e di chi scrive, per conto dell’ADV (Associazione Disabili Visivi).

Come ampiamente spiegato da Vincenzo Falabella e Franco Bettoni, presidenti rispettivamente di FISH e FAND, il progetto è risultato dal partenariato tra le due Federazioni più rappresentative a livello nazionale delle persone con disabilità, con un lavoro molto complesso durato oltre due anni, che ha coinvolto e messo in rete i diversi Ministeri ed Enti, per garantire snellezza nel riconoscimento dei diritti, recependo ovviamente la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, già ratificata nel 2009 dall’Italia [Legge 18/09, N.d.R.] e da altri 26 Stati Membri dell’Unione Europea.

Si è pensato in sostanza di realizzare a livello europeo una unica card per le persone con disabilità, per accedere a benefìci e agevolazioni al sistema dei trasporti e alle proposte di carattere culturale, sportivo e ricreativo. Una card, insomma, che possa consentire l’accesso alle persone con disabilità a tutti i servizi nei Paesi aderenti, con l’unificazione dei criteri e delle modalità di fruizione a musei, cinema, attrattive culturali e trasporti, in modo da semplificare la vita ai cittadini europei con disabilità, che oggi viaggiano molto di più sia per motivi di lavoro che di turismo.

La card stessa potrà diventare un incentivo sia morale che economico per le amministrazioni pubbliche e private dei servizi coinvolti, e potrà rappresentare un fattore di attrazione turistica in tutti i Paesi Membri dell’Unione Europea che vi aderiranno; per ora sono otto, ovvero, oltre all’Italia, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Malta, Slovenia e Romania; in tal senso, è da ritenere emblematico il fatto che i Paesi che per primi hanno aderito alla card abbiano delegato alla realizzazione del progetto le organizzazioni delle persone con disabilità.

EU Disability Card nasce dall’esigenza di concretizzare il Regolamento Europeo n. 1381/2013, che pone particolare attenzione riguardo all’accessibilità e al diritto di cittadinanza per i cittadini del Vecchio Continente, puntando quindi a unificare le regole e a semplificare la burocrazia dei diversi Stati. Prendere un treno dall’Italia all’estero, ad esempio, non prevede gli stessi trattamenti da una nazione all’altra, sia in termini economici che di servizi di assistenza. C’è una molteplicità di comportamenti tra scontistiche e trattamenti economici da uno Stato all’altro. In Italia si nota che il sistema dei trasporti andrebbe unificato, perché attualmente è normato a livello locale e regionale, e pertanto è molto disomogeneo. Sarebbe inoltre importante unificare anche i trasporti tra treno e gomma, in particolare per il servizio di assistenza alle persone con disabilità. Marco Mancini, responsabile dei rapporti con le Associazioni del Gruppo Ferrovie dello Stato, ha confermato che «nel nostro Paese, grazie al servizio di assistenza ferroviaria operato a cura delle Sale Blu di Rete Ferroviaria Italiana, siamo a un buon livello, ciò che vale anche per i servizi alle persone con ridotta mobilità a cura degli aeroporti italiani». «Si potrebbe quindi pensare – ha aggiunto – di intervenire nel trasporto nazionale su gomma che le ferrovie stanno ampliando».

«Possiamo osservare – ha concluso – che l’Italia può considerarsi pioniera per una serie di servizi: perché dunque, non estenderli ad altri Paesi, e/o ad altri tipi di servizi nei trasporti?».

La Disability Card, va puntualizzato, non è pensata come una semplice tessera analoga a quelle di fedeltà del supermercato, o come quelle utili ad accedere a sconti al cinema o ai teatri, bensì come un vero e proprio facilitatore per l’accesso ai servizi cittadini. In altre parole, ci si propone di arrivare a un cambiamento sostanziale, passando da una condizione di modello medico-assistenziale della disabilità a un modello sociale, basato sul rispetto della persona, che invece del “bisogno di prendere un pullman”, passi al “diritto di prendere un pullman”. Inoltre, pensando al fatto che ogniqualvolta viene promossa una normativa a favore delle persone con disabilità, accade che si generi una gran mole di burocrazia per accedere alle agevolazioni, tra le applicazioni pratiche della Disability Card potrebbe esserci anche quella di “facilitatore burocratico”.

Tra i diversi interventi da segnalare durante la presentazione, vi sono stati quelli di Andrea Venuto, disability manager del Comune di Roma e di Emiliano Monteverde, assessore alle Politiche Sociali del Municipio I di Roma Capitale, i quali hanno espresso il proprio parere favorevole alla Disability Card, sottolineando i problemi della Capitale in materia di accessibilità dei trasporti e dei servizi. Hanno inoltre offerto la propria disponibilità a fare in modo che si possa realizzare in via governativa il modello iniziale, partendo proprio da Roma Capitale, e cercando di capire insieme come e dove possa essere concretizzato. Roma, infatti, è una città che potrebbe vivere di turismo, ma che dovrebbe offrire servizi accessibili per tutti, ciò che allo stato attuale non accade, come ha verificato Venuto tramite una recente operazione di raccolta dati.

«È necessario quindi modificare l’approccio – hanno sottolineato sia Venuto che Monteverde -, mettendo a sistema tutti gli Assessorati (Cultura, Spettacolo, Mobilità ecc.) che devono occuparsi di accessibilità a 360 gradi, e quindi anche di disabilità, non demandando il problema al solo Dipartimento delle Politiche Sociali». Dopo un’ampia illustrazione del quadro generale della situazione europea di riferimento, a cura di Giampiero Griffo, componente del Direttivo dell’EDF (European Disability Forum), a entrare nel merito del progetto è stato Giovanni Merlo, direttore della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH.

«Attualmente – ha spiegato – a fungere da “Disability Card” è il certificato di invalidità, ma i benefìci sono molto dissimili da caso a caso (riduzione, gratuità e combinazioni varie, alcune anche fantasiose), sulla base di un favore, di una concessione; pertanto ogni istituzione, ente o esercente decide autonomamente a che livello consentire l’accessibilità e l’usabilità, a seconda delle proprie possibilità e risorse. Questa proposta, invece, parte dal presupposto che non vorremmo uno sconto, ma dei servizi accessibili, cosa attualmente ancora lontana, e quindi serve appunto uno strumento che non discrimini, ma vincoli la società a permettere la partecipazione alla vita pubblica e culturale a tutti i cittadini, al di là della riduzione economica del biglietto».

Ora saranno sia le amministrazioni pubbliche che il mondo privato a dover costruire, insieme alle organizzazioni delle persone con disabilità, l’impalcatura della Disability Card, della quale al momento è stato realizzato un prototipo, in seguito a uno studio di fattibilità. Per questo sarà fondamentale convincere le varie realtà ad adottarla, affinché sia conveniente non solo economicamente alle istituzioni, ma lo sia soprattutto a livello morale, sulla base di un’adesione volontaria. L’accesso alle migliori condizioni economiche sarà forse non il primo, ma il secondo passo: il primo, infatti, sarà quello di poter fruire del servizio, in maniera accessibile, come in Italia oggi sta avvenendo, ma “a macchia di leopardo”.

Secondo Carlo Giacobini, responsabile del Servizio HandyLex.org e direttore editoriale di «Superando.it», e Roberto Romeo, presidente dell’ANGLAT, la realizzazione della Disability Card produrrà due sfide, una legata alla pre-realizzazione, di tipo logico, l’altra alla post-realizzazione, di tipo organizzativo. La prima è: a quali documentazioni si farà riferimento per l’erogazione della Disability Card? Ovvero quali saranno i criteri per il rilascio? La seconda sfida, invece, è quella di sviluppare una nuova logica dell’accoglienza da parte dei servizi (dei trasporti, museali, cinematografici e culturali), mettendo in condizione chi eroga i servizi stessi di fare interventi sui mezzi pubblici, sugli apparati mobili, sulla rete, sulle applicazioni web accessibili, sulle fermate fisiche accessibili, senza barriere e con percorsi tattilo-vocali ecc.

Dal canto suo, Falabella ha tenuto a precisare che si è conclusa la fase progettuale e che attualmente la Card non esiste. Ha però ricordato che la Segreteria Nazionale della FISH è stata letteralmente assalita da messaggi e telefonate per chiedere le modalità per ottenerla, ciò che ben dimostra come da parte dei cittadini ultimi fruitori ci sia già un forte interesse. Ora andranno quindi avviate le procedure per l’emanazione e la produzione concreta della card, nonché per la sua commercializzazione.

Per questa nuova fase, il Dicastero di cui Giuliano Poletti è ministro, quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, sarà parte fondamentale. Purtroppo il Ministro non è potuto intervenire alla presentazione per ragioni istituzionali, ma lo ha ben rappresentato Raffaele Tangorra, direttore generale per l’Inclusione Sociale e per le Politiche Sociali del Ministero, attualmente punto di riferimento (Focal Point) dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, che monitora l’applicazione della Convenzione ONU.

Tangorra ha sottolineato le potenzialità di questo strumento, che a suo parere è possibile realizzare da parte del Governo. E sebbene non si sia purtroppo riusciti ad inserirlo nell’ultima Legge di Bilancio, si è dichiarato «fiducioso di trovare nelle forme legislative di competenza la modalità per andare oltre lo studio di fattibilità, compreso il finanziamento alla produzione fisica, convincendo le amministrazioni del suo potenziale futuro utilizzo, come ad esempio munendo la Card di un chip e applicandola sulle autovetture per passare i varchi elettronici ZTL (Zone a Traffico Limitato) sia in tutta Italia, cosa che costituirebbe già una notevole unificazione, sia a livello europeo».

L’ente erogatore della Card potrebbe essere l’INPS, una volta stabilito il criterio di scelta per gli aventi diritto. A tal proposito è intervenuto Rocco Lauria, direttore centrale per le Invalidità Civili dell’Istituto, che ha confermato questa possibilità, essendo l’INPS l’Ente che effettua le pratiche di riconoscimento delle invalidità e che dal 2010 in poi possiede i database unificati. Per questo potrebbe essere utilizzato come agenzia unica per censire le persone con disabilità. Lauria ha sottolineato inoltre che il potenziale da poter sfruttare con la tecnologia è notevole, dal momento che tutte le informazioni (anche sanitarie) possono essere contenute in un chip nella Card. Pertanto, come accennato, questa potrebbe diventare un facilitatore per una serie di servizi, anche se già erogati. Devo ammettere, in conclusione, di essere partita piuttosto scettica sull’idea della Disability Card. Alla luce però di quanto ho potuto ascoltare alla presentazione di Roma, ho cambiato idea, cogliendo l’importanza e l’utilità di questo nuovo strumento.

La speranza, quindi, è che i buoni propositi espressi siano seguiti da concreti provvedimenti attuativi, auspicio espresso durante le sue conclusioni anche da Falabella, che si è augurato appunto di vedere in questo 2018 il passaggio della Disability Card da progetto a realtà.

*Esperta di accessibilità del web dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), con delega per le problematiche ICT (Information and Communications Technology).

*Cui Anffas Onlus aderisce

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CONGEDO STRAORDINARIO: SI PUÒ RICHIEDERE ANCHE SE LA PERSONA CON DISABILITÀ LAVORA?

Fonte www.edscuola.eu – Il congedo straordinario è un periodo di assenza dal lavoro retribuito (massimo 2 anni nell’arco dell’intera vita lavorativa) concesso ai lavoratori dipendenti che assistano familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104. Hanno titolo a fruire del congedo straordinario i lavoratori dipendenti secondo il seguente ordine di priorità, che degrada solo in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei primi:

1.il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente della persona con disabilità in situazione di gravità;

2.il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona con disabilità in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell’unione civile convivente;

3.uno dei figli conviventi della persona con disabilità in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente, la parte dell’unione civile convivente ed entrambi i genitori della persona con disabilità siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Si precisa, al riguardo, che la possibilità di concedere il beneficio ai figli conviventi si verifica nel caso in cui tutti i soggetti menzionati (coniuge convivente, parte dell’unione civile convivente ed entrambi i genitori) si trovino in una delle descritte situazioni (mancanza, decesso, patologie invalidanti);

4.uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona con disabilità in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente,la parte dell’unione civile convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi della persona con disabilità siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;

5.un parente/affine entro il terzo grado convivente della persona con disabilità in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente,la parte dell’unione civile convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli/sorelle conviventi della persona con disabilità siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Il congedo in questione, fruibile anche in modo frazionato, può essere richiesto anche nel caso in cui l’assistenza sia rivolta ad un familiare con disabilità che svolga, nel periodo di godimento del congedo, attività lavorativa?

La risposta è affermativa. Infatti, il Ministero del Lavoro, con Interpello n. 30/2010, ha chiarito che “non sembra conforme allo spirito della normativa porre, a priori, un limite alla fruizione del congedo da parte di colui che assiste il familiare disabile. Tale prassi risulterebbe peraltro in contrasto con i principi formulati dalla L. n. 104/1992 che mira invece a promuovere la piena integrazione del disabile nel mondo del lavoro.” Inoltre, “l’assistenza si può sostanziare in attività collaterali ed ausiliarie rispetto al concreto svolgimento dell’attività lavorativa da parte del disabile, quali l’accompagnamento da e verso il luogo di lavoro, ovvero attività di assistenza che non necessariamente richiede la presenza del disabile, ma che risulta di supporto per il medesimo.. Si ritiene pertanto, alla luce dell’attuale normativa, che il diritto alla fruizione del congedo de quo da parte del familiare non può essere escluso, a priori, nei casi in cui il disabile svolga, per il medesimo periodo, attività lavorativa”.