Fonte www.vita.it – Sul piatto della protezione sociale l’Italia ogni anno mette più di 400 miliardi di spesa pubblica. Nel 2012 erano 424 miliardi, di cui 103 per la sanità (tutte prestazioni in servizi a carico delle Regioni), 287 per la previdenza (tutti trasferimenti economici a carico dell’Inps) e 34 per l’assistenza (di cui almeno tre quarti in denaro e gestiti dall’Inps). Includendo la (piccola) fetta di spesa privata si tratta di una quota pari al 28,9% del Pil nazionale: un valore in asse con il 28,6% della media Ue e il 29,1% della sola area euro.
La spesa italiana è quindi allineata a quella dei nostri partner. L’Italia però spende male. Il dato emerge dal rapporto 2015 sulla lotta alla povertà della Fondazione Zancan (edito dal Mulino). Confrontando le percentuali di popolazione a rischio povertà prima e dopo i trasferimenti sociali, lo scarto è pari a 5 punti percentuali a fronte di una media europea dell’8,9% (vedi la tabella a questo link). Tra i minorenni poi la capacità dei trasferimenti di ridurre il rischio di povertà in Italia è di circa 7 punti percentuali, contro una media Ue di circa 14 punti. «L’efficacia della spesa sociale erogata sotto forma di trasferimenti (escluse le pensioni)», scrivono i ricercatori, «in termini di riduzione della quota di popolazione a rischio povertà, in Italia è quindi minore che negli altri principali Paesi europei».
La conseguenza diventa evidente se ci chiediamo quanto è efficace la spesa per i trasferimenti sociali al netto delle pensioni. La Fondazione Zancan stima che in Italia per ogni milione di euro speso in trasferimenti escono dalla povertà 38,5 persone. Questa riduzione però mediamente nei Paesi dell’Unione europea è pari a 62 persone (sempre per milione di euro speso) e assume valori superiori rispetto a quello italiano in tutti i principali Paesi. Ma perché un euro investito in Italia rende quasi la metà di un euro investito in Spagna?
«Le ragioni sono sostanzialmente due», spiega Maria Bezze, uno dei curatori dell’indagine della Fondazione padovana. La prima ha a che vedere con i beneficiari. La seconda con l’oggetto del trasferimento. Partiamo dal primo punto. «L’Inps ci dice che nel nostro Paese per ogni 100 euro spesi, soltanto 3 van- no al 10% più povero della popolazione; escludendo poi la spesa previdenziale, al 10% più povero sono destinati 7 euro su 100 spesi per prestazioni sociali non pensionistiche», spiega Bezze.
Da analisi internazionali risulta che in Italia al 20% più povero della popolazione va il 9% di tutti i trasferimenti monetari pubblici, mentre mediamente nei Paesi Ocse va il 21,7% (dato 2010). Soltanto la Turchia destina una quota di trasferimenti inferiore a quella italiana (5,2%) a beneficio del 20% più povero. «Questo accade perché una larga parte dei supporti finisce nelle tasche di chi non ne avrebbe bisogno, o almeno non ne avrebbe bisogno in quella misura».
Altri dati, questa volta estratti dal rapporto Zancan 2014: oltre un quinto (circa 182mila) delle pensioni o assegni sociali, equivalenti a una spesa di 950 milioni di euro, vanno a famiglie con ricchezza netta superiore ai 301mi- la euro e quasi un terzo (circa 240mila), equivalenti a una spesa di 1,25 miliardi vanno a famiglie con ricchezza superiore a 202mila euro.
L’analisi ha considerato anche le integrazioni al minimo delle pensioni da lavoro: la spesa stimata per erogazioni in favore delle 420mi- la famiglie con ricchezza netta superiore ai 301mila euro è di oltre un miliardo (su 5,5 miliardi al 2012), mentre la spesa stimata per erogazioni a beneficiari in famiglie con ricchezza oltre i 215mila euro (590mila nuclei) è di quasi di 1,5 miliardi «Sono dati che dimostrano che non tutte le pensioni assistenziali vanno a persone che ne hanno bisogno», chiosa la ricercatrice. Il secondo nodo riguarda lo sbilanciamento fra gli aiuti monetari e quelli in servizi. Ancora Bezze: «Esistono diversi studi che dimostrano come l’impatto della spesa in trasferimenti monetari sia inferiore a quello della spesa in servizi, per esempio in educazione». Questo avviene perché «con più soldi nel portafoglio il beneficiario soddisfa un bisogno immediato , mentre con l’ingresso in un percorso di supporto “sociale” che prevede l’erogazione di servizi (siano essi lavorativi, sociali, abitativi, educativi) la persona ha più probabilità di uscire dalla condizione di bisogno. Certamente dare soldi è più facile, ma meno utile per riscattarsi dalla povertà».
Nella prima metà dell’anno Fondazione Zancan insieme a Fondazione L’Albero della Vita ha chiuso una ricerca in 7 grandi città italiane che ha indagato la condizione delle famiglie «fragili» con figli minori. Quasi tre quarti delle 277 famiglie intervistate ha dichiarato di ricevere contributi economici (diretti o come compartecipazione a spese sanitarie, abitazione ecc.). Oltre 6 famiglie su 10 beneficiano di beni materiali di prima necessità. Solo una famiglia su tre si avvale invece di servizi di sostegno socio educativo, quasi una su cinque di orientamento/sostegno e una su sei di assistenza abitativa, una su otto (13%) beneficia infine di abbattimenti di tariffe/rette per l’accesso a servizi (in buona parte destinati a minori per mensa, tra- sporto scolastico ecc.).
«Gli interventi ritenuti più utili», concludono i ricercatori «non sono tuttavia quelli ricevuti più frequentemente. In particolare, quelli ritenuti più validi so- no mediamente i servizi di accoglienza (ludico ricreativa, residenziale, educati- va), gli interventi di sostegno alle vittime di abuso e violenza, l’abbattimento di tariffe/rette per l’accesso a servizi, gli interventi di sostegno socio-educativo, i servizi di consultazione e orientamento. Minore utilità è invece associata ai contributi economici e, ancora inferiore, ai beni materiali di prima necessità».
Come ogni anno, l’INPS ha ridefinito – collegandoli agli indicatori dell’inflazione e del costo della vita – gli importi delle pensioni, degli assegni e delle indennità che vengono erogati agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordi e i relativi limiti reddituali previsti per alcune provvidenze economiche.
A fissare dunque per l’anno 2016 i vari importi e i relativi limiti reddituali è stata esattamente la Circolare n. 210 della Direzione Centrale delle Prestazioni dell’INPS, prodotta il 31 dicembre scorso.
Nel link riportato di seguito si possono vedere i vari importi in euro, dai quali risultano, come si potrà notare, scostamenti minimi o nulli rispetto allo scorso anno. Questo succede perché, come viene spiegato dal Servizio HandyLex.org, «l’INPS si adegua alle indicazioni del Decreto del 19 novembre 2015, emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che fissa nella misura dello 0,2 per cento l’aumento di perequazione automatica da attribuire alle pensioni, in via definitiva, per l’anno 2015, e nella misura dello 0,0 per cento l’aumento di perequazione automatica da attribuire alle pensioni stesse, in via previsionale, per l’anno 2016».
La tabella è disponibile a questo link
Fonte – www.superando.it – Il 17 dicembre scorso è stato pubblicato dall’ISTAT il report annuale I presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari, relativo all’anno 2013. In Italia, dunque, risultavano essere 12.261 i presìdi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari attivi al 31 dicembre 2013, per un totale di 384.450 posti letto (6,3 ogni 1.000 persone residenti). Si tratta di un dato in crescita, rispetto a quello registrato nel 2012 (11.571 presidi, per un totale di 372.962 posti letto).
Gli ospiti dei presìdi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari erano esattamente 367.485 (354.777 nel 2012) e in particolare quasi 279.000 di essi erano anziani con almeno 65 anni di età (75,8%); oltre 71.000, invece, gli adulti con un’età compresa tra i 18 e i 64 anni (19,3%) e oltre 17.000 i minori (4,8%). Sempre al 31 dicembre 2013, inoltre, le persone con disabilità e non autosufficienza presenti nei presìdi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari erano 263.048, pari al 71,6% del numero complessivo di ospiti, delle quali 2.658 minori con disabilità e disturbi mentali dell’età evolutiva, 49.536 adulti con disabilità e patologia psichiatrica e 210.854 anziani non autosufficienti. Poco più dell’80% degli ospiti con disabilità e non autosufficienza, dunque, erano anziani non autosufficienti. In particolare, nel 92,7% dei casi gli anziani non autosufficienti risultavano essere ospiti di strutture integranti le funzioni di assistenza sociale con interventi di carattere sanitario e nell’84,6% dei casi, si trattava di anziani cui veniva garantito un livello di assistenza sanitaria medio-alto, ossia trattamenti medico-sanitari estensivi per la non autosufficienza (livello medio) o intensivi per il supporto delle funzioni vitali (livello alto). Possiamo quindi parlare per lo più di anziani in condizioni di gravità e che nel 97,6% dei casi erano ospiti di strutture che non riproducevano le condizioni di vita familiari, risultando quindi potenzialmente segreganti.
Per quanto poi riguarda l’aspetto territoriale, oltre il 60% del numero complessivo di ospiti adulti con disabilità e anziani non autosufficienti si concentrava in quattro Regioni, vale a dire la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e l’Emilia Romagna.
Infine, gli stranieri con disabilità e non autosufficienti erano 1.581 (il 9,5% degli ospiti stranieri e lo 0,6% degli ospiti con disabilità e non autosufficienza) che per oltre la metà erano adulti con disabilità e patologia psichiatrica, nel 24,2% dei casi minori con disabilità e disturbi mentali e nel restante 22% anziani non autosufficienti.
Fonte www.disabili.com – Nelle settimane scorse si è fatto riferimento ad una recente indagine dell’Istat sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità riferita all’anno scolastico 2014/2015, secondo la quale il 41,9% degli alunni di Scuola Primaria e il 36,5% di quelli di Scuola Secondaria di Primo Grado hanno cambiato insegnante di sostegno rispetto all’anno scolastico precedente.
In essa è emerso che è aumentata la presenza di alunni con disabilità nella scuola italiana, ma la continuità didattica resta ancora un obiettivo lontano e sono ancora molte le famiglie che devono ricorrere ai Tribunali per ottenere per i propri figli tutte le ore di sostegno cui hanno diritto. Nello specifico, rispetto all’anno scolastico 2001-2002, gli allievi con disabilità iscritti alla Scuola Primaria sono passati dal 2,1% al 3,1% del totale degli alunni, mentre alle Scuole Secondarie di Primo Grado sono passati dal 2,6% al 3,8%. Meno consistente è stato l’incremento del numero degli insegnanti di sostegno, aumentati di 5 mila unità rispetto all’anno scolastico precedente. Inoltre, in molti casi rimane ancora molto elevato il numero di supplenti che cambiano nel corso dell’anno.
Secondo l’Istat, questo fenomeno riguarda, nel corso dell’anno scolastico, il 14,7% dei docenti di sostegno di Scuola Primaria ed il 16,5% di quelli di Scuola secondaria di Primo Grado; gli incarichi annuali, invece, riguardano il 41,9% dei docenti di Scuola Primaria ed il 36,5% degli insegnanti di Scuola Secondaria di Primo Grado. Significa che ancora oggi quasi un docente di sostegno ogni due è precario, con buona pace dell’importanza della continuità didattica.
Ogni anno, a volte anche più spesso, si annullano le relazioni faticosamente e delicatamente costruite in un groviglio di turn over che toglie senso ad ogni progetto concreto di inclusione scolastica. Una grave debolezza su cui intervenire, perché la precarietà toglie motivazioni e continuità all’azione didattica, così commenta C. Giacobini della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap* (Fish).
Il Miur evidenzia la recente tendenza verso una stabilizzazione ed i numeri delle assunzioni degli ultimi anni lo confermano; eppure, ancora oggi, più del 37% dei docenti di sostegno continua ad essere personale precario
Fonte – www.superando.it – 9 gennaio, periodo post natalizio, poche le notizie per i giornali, dato che la politica deve ancora riprendere a pieno regime. Un “falso invalido” è meglio di niente e ci troviamo davanti alle solite, identiche, scontate rappresentazioni che i titoli e le tesi riportate propongono. Ricercando su Google notizie su un fatto accaduto in provincia di Ferrara, si trovano almeno tre pagine di titoli pressoché uguali, in cui le antinomie riferite alla disabilità che la (in)cultura dei giornalisti propone sono abbastanza scontate e riconducibili a due presunti assunti.
Vediamoli: – Se è disabile non può fare giardinaggio… quindi è “falso invalido”. – Se è in carrozzina non può stare anche in piedi… quindi è “falso invalido”. Qui di seguito solo alcuni dei titoli e le relative fonti che comprendono quotidiani locali, televisioni locali, siti locali di informazione, siti aggregatori di notizie: Doveva essere in carrozzina, beccato a fare giardinaggio (RovigoOggi.it); Jolanda, è invalido ma annaffia il suo giardino (la Nuova Ferrara.it); Si finge invalido per mesi, beccato mentre lavora in giardino (Il Resto del Carlino.it); Jolanda, è invalido ma annaffia il suo giardino (247 Libero.it); Falso invalido scoperto dai carabinieri mentre fa giardinaggio (Telestense.it); Invalido al cento percento scoperto fare giardinaggio (estense.com); Ferrara, invalido al 100% camminava ed annaffiava (stadio24.com); Truffe, invalido in sedia a rotelle sorpreso in piedi ad annaffiare il giardino nel Ferrarese (la Repubblica – Bologna.it).
Questa volta un paio di annotazioni scritte e poi lasciamo la parola esclusivamente alle immagini che parlano da sole. La prima annotazione è sulle decine e decine di corporative sociali che operano in campo agricolo e florovivaistico e che impegnano anche persone con disabilità. Settore che con le dinamiche relative al recente Expo di Milano e ai temi ad esso correlati (alimentare, orti, agricoltura, spreco alimentare, gastronomia, ristorazione…) si è sviluppato enormemente, pur tra luci e ombre. La seconda annotazione è sulla regola che la stampa propone, «o stai in piedi o stai in carrozzina», che è del tutto fantasiosa, in quanto esistono numerosissime persone con disabilità che a seconda della loro situazione stanno in piedi, da sole o con l’ausilio di bastoni… deambulatori, oppure utilizzando carrozzine, magari per i tragitti più lunghi, a volte conducendole autonomamente, a volte con un accompagnatore.
Spazio dunque alle immagini e a quello che ci raccontano e… speriamo raccontino anche ai tanti, tantissimi giornalisti che ancora una volta, come noi, non farebbero certo tanta fatica a farsi un giro su Google, Sezione Immagini compresa.
Per leggere l’articolo integrale e per vedere le foto mezionate, clicca qui
* Redazione Sportelli Sociali del Comune di Bologna
Fonte www.superabile.it – La Commissione Europea ha aperto una consultazione pubblica per monitorare lo stato di attuazione della Strategia Europea sulla Disabilità 2010-2020. Questa iniziativa oltre a valutare l’impatto delle azioni in atto serve a garantire che le politiche dell’UE restino in linea con le esigenze e i diritti delle persone con disabilità.
Si tratta di un passaggio importante di verifica che si colloca a metà dell’arco temporale indicato dal documento stesso per il raggiungimento di determinati obiettivi.
La consultazione è aperta a cittadini, organizzazioni, pubbliche amministrazioni, imprese, università e altre parti interessate, si tratta di compilare un questionario, che si stima possa richiedere circa 20 minuti, e inviarlo entro il 18/03/2016.
La strategia si colloca nel quadro delle attività legate alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, a cui l’UE ha aderito, poiché a livello di Unione tale convenzione è attuata proprio attraverso la strategia europea sulla disabilità 2010-2020.
Sono otto le aree di azione principali individuate dalla Strategia a livello dell’Unione Europea:
accessibilità
partecipazione
uguaglianza
occupazione
istruzione e formazione
protezione sociale
salute
azioni esterne
La consultazione richiede agli interessati un’opinione su quanto è stato sinora realizzato in ciascuno degli otto ambiti di azione della Strategia, ma anche un parere sulle sfide che sono quotidianamente affrontate dalle persone con disabilità e in che modo l’EU dovrebbe rispondervi. Il questionario per la consultazione è disponibile in diverse lingue tra cui l’Italiano a questo link.
E’ disponibile anche una versione word accessibile del questionario che va poi completata e spedita all’indirizzo di riferimento sotto riportato.
Una volta compilato il questionario va inviato entro il 18/03/2016 a questo indirizzo di posta elettronica: EMPL-C3-CONSULTATION@ec.europa.eu
Per saperne di più sulla Strategia Europea sulla Disabilità 2010-2010 si rimanda il lettore ai seguenti documenti rammentando che è disponibile la versione in lingua Italiana:
Fonte – www.west-info.eu – Doveva essere una misura transitoria ma, dati alla mano, ha fatto in modo che 6000 adulti francesi con disabilità vivano ancora in strutture dedicate a bambini con disabilità. Stiamo parlando dell’emendamento Creton. Che, dal 1989, consente ai giovani con disabilità che hanno raggiunto la maggiore età in istituto di fermarsi per un breve periodo nella struttura che li ha fino a quel momento ospitati in attesa di una nuova soluzione.
L’idea originaria era nobile: prevenire la loro esclusione evitando loro un brutale inserimento sociale. Tuttavia, a conti fatti, il loro numero è aumentato del 20% in quattro anni.
Inoltre, come si legge in un report appena pubblicato dal Ministero degli Affari Sociali, si tratta di persone con disabilità gravi o multiple.
Il fenomeno ha due effetti perversi. In primo luogo, quello di privare alcuni bambini dei luoghi di cura specializzati. Secondariamente, mischiare un pubblico con esigenze del tutto diverse.